"Com'eri vestita?": una mostra per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne
Si conclude oggi la manifestazione dell'istituto Dell'Aquila - Staffa
giovedì 21 ottobre 2021
15.20
Si concluderà quest'oggi la mostra What were you wearing? (Com'eri vestita?) allestita nell'istituto Dell'Aquila - Staffa di San Ferdinando di Puglia per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne.
Il taglio del nastro, martedì scorso, ha visto la presenza del sindaco Salvatore Puttilli e dell'assessore Arianna Camporeale oltre che ai rappresentanti dell' osservatorio Giulia e Rossella centro antiviolenza onlus i.s. : la dott.ssa Maria GIulia Distasi (responsabile ufficio di piano), la dott.ssa Rosa Campese (referente CAV) e Tina Arbues (presidente dell' Osservatorio).
Una mostra aperta al pubblico e in particolar modo agli studenti.
" È un evento che noi stiamo replicando. È infatti una mostra che nasce dall'America e si traduce poi nell'italiano, che segue la nostra cultura e i nostri casi italiani - spiega l'educatrice del centro Rossana Piccolo - Lo abbiamo messo in atto nelle scuole, perché il centro antiviolenza non è soltanto un luogo fisico, è anche e soprattutto prevenzione e e sensibilizzazione, con l'obiettivo che sempre meno donne abbiano bisogno di rivolgersi a noi. È tutto questo lo si può fare soltanto invertendo la cultura in essere".
Il titolo prende il nome da una delle domande più frequenti e scomode fatte alle donne vittime di violenza, come se l'abbigliamento indossato colpevolizzasse in qualche modo la donna.
La mostra si compone infatti di 17 abiti indossati dalle donne vittime al momento della violenza, accompagnati dai racconti delle stesse. Una particolarità risalta all'occhio, quegli stessi abiti: non succinti, non corti, non provocanti, semplicemente un pigiama, un tubino nero, un maglione, un tailleur indossato da una donna cieca.
"E anche se fosse?" controbatte l' educatrice . "Per quale motivo una donna non dovrebbe o potrebbe indossare una mini gonna o un abito succinto? - Continua - questo pregiudizio è dovuto a una società maschilista, in cui si pensa che l'uomo sia più forte e debba di conseguenza decidere, anche per conto della donna stessa."
Con la prospettiva che la violenza contro una donna sia perpetrata prevalentemente da sconosciuti, le nostre esperte del centro ci dimostrano , con statistiche alla mano , che non è poi così vero.
"La percentuale più alta riguarda donne violentate dai propri partner. Nessun orco incontrato per strada, bensì uno con cui convivi", afferma la referente del CAV Rosa Campese durante l'intervento all'inaugurazione.
Le donne vittime di violenza giungono al centro non per cambiare la propria situazione , ma per comprendere in che situazione si trovano.
"La stragrande maggioranza delle persone che si rivolgono a noi alla fine interrompono il percorso. Ma la cosa importante che un'operatrice del centro antiviolenza deve fare è rispettare i tempi, i modi e le scelte di una donna. Infatti, generalmente ritornano – continua l'educatrice . Il nostro compito è quello di prepararle, rendendole consapevoli di quello che hanno vissuto. Le aiutiamo a ricostruire la loro storia, così da renderle preparate alla denuncia, alle domande che verranno poste loro (tra cui: com'eri vestita?), all'eventuale processo che seguirà.
All'interno del centro le donne imparano a conoscere altre forme di violenza che vanno oltre quella fisica (percosse, schiaffi…), come quella psicologica (non puoi uscire con i tuoi amici! Sei solo mia! Fammi controllare il tuo cellulare!) e viene garantito loro il totale anonimato e riservatezza.
E in una società in cui, spesso, gli obiettivi dei centri antiviolenza vengono minimizzati e giudicati, Rossana Piccolo ci spiega come questa cultura pian piano stia regredendo.
"Fino a poco tempo fa venivamo chiamate le sfascia famiglie. Ma una famiglia è un posto in cui c'è amore, in cui ci si sente al sicuro. La violenza non fa famiglia. Ma per fortuna anche questa cultura si sta destrutturando" - conclude l'educatrice.
La cultura si costruisce in maniera molto lenta. Le donne e gli uomini sono stati istruiti a svolgere un determinato ruolo. "Cambiare il modo di pensare fa paura, spaventa, destabilizza, rimette tutto in discussione, richiede quindi tanta pazienza, attenzione e cura"- afferma fermamente l'educatrice Piccolo.
Il taglio del nastro, martedì scorso, ha visto la presenza del sindaco Salvatore Puttilli e dell'assessore Arianna Camporeale oltre che ai rappresentanti dell' osservatorio Giulia e Rossella centro antiviolenza onlus i.s. : la dott.ssa Maria GIulia Distasi (responsabile ufficio di piano), la dott.ssa Rosa Campese (referente CAV) e Tina Arbues (presidente dell' Osservatorio).
Una mostra aperta al pubblico e in particolar modo agli studenti.
" È un evento che noi stiamo replicando. È infatti una mostra che nasce dall'America e si traduce poi nell'italiano, che segue la nostra cultura e i nostri casi italiani - spiega l'educatrice del centro Rossana Piccolo - Lo abbiamo messo in atto nelle scuole, perché il centro antiviolenza non è soltanto un luogo fisico, è anche e soprattutto prevenzione e e sensibilizzazione, con l'obiettivo che sempre meno donne abbiano bisogno di rivolgersi a noi. È tutto questo lo si può fare soltanto invertendo la cultura in essere".
Il titolo prende il nome da una delle domande più frequenti e scomode fatte alle donne vittime di violenza, come se l'abbigliamento indossato colpevolizzasse in qualche modo la donna.
La mostra si compone infatti di 17 abiti indossati dalle donne vittime al momento della violenza, accompagnati dai racconti delle stesse. Una particolarità risalta all'occhio, quegli stessi abiti: non succinti, non corti, non provocanti, semplicemente un pigiama, un tubino nero, un maglione, un tailleur indossato da una donna cieca.
"E anche se fosse?" controbatte l' educatrice . "Per quale motivo una donna non dovrebbe o potrebbe indossare una mini gonna o un abito succinto? - Continua - questo pregiudizio è dovuto a una società maschilista, in cui si pensa che l'uomo sia più forte e debba di conseguenza decidere, anche per conto della donna stessa."
Con la prospettiva che la violenza contro una donna sia perpetrata prevalentemente da sconosciuti, le nostre esperte del centro ci dimostrano , con statistiche alla mano , che non è poi così vero.
"La percentuale più alta riguarda donne violentate dai propri partner. Nessun orco incontrato per strada, bensì uno con cui convivi", afferma la referente del CAV Rosa Campese durante l'intervento all'inaugurazione.
Le donne vittime di violenza giungono al centro non per cambiare la propria situazione , ma per comprendere in che situazione si trovano.
"La stragrande maggioranza delle persone che si rivolgono a noi alla fine interrompono il percorso. Ma la cosa importante che un'operatrice del centro antiviolenza deve fare è rispettare i tempi, i modi e le scelte di una donna. Infatti, generalmente ritornano – continua l'educatrice . Il nostro compito è quello di prepararle, rendendole consapevoli di quello che hanno vissuto. Le aiutiamo a ricostruire la loro storia, così da renderle preparate alla denuncia, alle domande che verranno poste loro (tra cui: com'eri vestita?), all'eventuale processo che seguirà.
All'interno del centro le donne imparano a conoscere altre forme di violenza che vanno oltre quella fisica (percosse, schiaffi…), come quella psicologica (non puoi uscire con i tuoi amici! Sei solo mia! Fammi controllare il tuo cellulare!) e viene garantito loro il totale anonimato e riservatezza.
E in una società in cui, spesso, gli obiettivi dei centri antiviolenza vengono minimizzati e giudicati, Rossana Piccolo ci spiega come questa cultura pian piano stia regredendo.
"Fino a poco tempo fa venivamo chiamate le sfascia famiglie. Ma una famiglia è un posto in cui c'è amore, in cui ci si sente al sicuro. La violenza non fa famiglia. Ma per fortuna anche questa cultura si sta destrutturando" - conclude l'educatrice.
La cultura si costruisce in maniera molto lenta. Le donne e gli uomini sono stati istruiti a svolgere un determinato ruolo. "Cambiare il modo di pensare fa paura, spaventa, destabilizza, rimette tutto in discussione, richiede quindi tanta pazienza, attenzione e cura"- afferma fermamente l'educatrice Piccolo.