Verso la conclusione del Cas "Fondazione Lamacchia"
Nota del vicario zonale don Mimmo Marrone
venerdì 26 luglio 2019
17.18
«Il 30 luglio p.v. a distanza di tre anni e due mesi da quel 30 maggio 2016 si conclude l'esperienza del CAS "Fondazione Lamacchia" a San Ferdinando di Puglia, presso l'Istituto delle Suore Missionarie della Madre di Dio. Precedentemente, circa un anno fa, si è conclusa anche l'esperienza dell'accoglienza del CAS gestito dalla medesima Fondazione ma ubicata presso la Casa della Speranza della Parrocchia San Ferdinando Re e destinata all'ospitalità di immigrati di genere maschile.
È stata un'esperienza che ha coinvolto la comunità ecclesiale cittadina, oltre agli operatori interessati direttamente nel servizio di accoglienza delle donne immigrate e le Suore che con generosità hanno messo a disposizione gli ambienti.
La comunità ecclesiale si è mostrata attenta, sensibile e generosa nel far sentire di casa nella nostra città le donne con i bambini provenienti da situazioni di conflitto bellico, guerra civile, fame e da ogni altra condizione affatto compatibile con la dignità umana.
Tutti gli operatori della "Fondazione Lamacchia" si sono dimostrati oltre che professionalmente preparati nel fronteggiare la sfida, soprattutto umanamente empatici, sensibili e generosi nel farsi carico delle situazioni esistenziali di ogni ospite. Sicuramente la presenza in questi tre anni di persone provenienti da altre culture, etnie, lingue e religioni ha arricchito umanamente la nostra piccola cittadina che è stata sollecita verso maggiori aperture di cuore e di mente.
Alcuni degli immigrati continueranno a rimanere nella nostra comunità cittadina perché ormai in grado di provvedere autonomamente alla loro sussistenza perché integrati dal punto di vista lavorativo e abitativo. Non possiamo ignorare che siamo nel tempo del meticciato. Viviamo nel tempo dell'intreccio di linguaggi, di modi di vivere, di religioni, di usi e costumi che fanno delle nostre città e anche dei nostri piccoli centri del luoghi plurali, delle convivialità delle differenze che si rivelano opportunità di crescita umana e culturale. Non solo il nostro mondo, i nostri piccoli paesi sono un "villaggio globale". Vivere questa sfida con intelligenza e creatività significa non perdere l'appuntamento con la storia.
In questo nostro piccolo paese, lungo questi tre anni, abbiamo avuto l'opportunità di avere il mondo in casa per poterci ancor più sentirci di casa nel mondo. L'ospitalità l'accoglienza, l'interazione e l'integrazione con persone proveniente da Paesi diversi e da situazioni esistenziali di una precarietà e pericolosità inimmaginabile ha offerto a tutti la possibilità di restare umani, di non abbrutirci nell'indifferenza e nel cinismo, ma di crescere nella solidarietà.
Auguriamo ai nostri ospiti che lasciano il nostro paese di portarsi schegge di bene raccolte nella nostra terra e a tutti noi di custodire nel cuore squarci di umanità che mai avremmo avuto modo di scorgere senza la loro presenza. A tutti gli operatori auguriamo di continuare a contagiare di un'epidemia di solidarietà i luoghi che continueranno a frequentare e a testimoniare che il servizio disinteressato, libero da ogni pregiudizio, è un patrimonio spirituale per se stessi ben più grande di quanto si riesce a dare e afre per gli altri.
A tutti i cristiani auguriamo di tenere sempre vivo il monito del Maestro di Nazareth: "Ero forestiero e mi avete ospitato". È la memoria sovversiva del Vangelo l'unico fermento che può cambiare il mondo e non le strategie politiche degli imprenditori della paura e dell'odio».
È stata un'esperienza che ha coinvolto la comunità ecclesiale cittadina, oltre agli operatori interessati direttamente nel servizio di accoglienza delle donne immigrate e le Suore che con generosità hanno messo a disposizione gli ambienti.
La comunità ecclesiale si è mostrata attenta, sensibile e generosa nel far sentire di casa nella nostra città le donne con i bambini provenienti da situazioni di conflitto bellico, guerra civile, fame e da ogni altra condizione affatto compatibile con la dignità umana.
Tutti gli operatori della "Fondazione Lamacchia" si sono dimostrati oltre che professionalmente preparati nel fronteggiare la sfida, soprattutto umanamente empatici, sensibili e generosi nel farsi carico delle situazioni esistenziali di ogni ospite. Sicuramente la presenza in questi tre anni di persone provenienti da altre culture, etnie, lingue e religioni ha arricchito umanamente la nostra piccola cittadina che è stata sollecita verso maggiori aperture di cuore e di mente.
Alcuni degli immigrati continueranno a rimanere nella nostra comunità cittadina perché ormai in grado di provvedere autonomamente alla loro sussistenza perché integrati dal punto di vista lavorativo e abitativo. Non possiamo ignorare che siamo nel tempo del meticciato. Viviamo nel tempo dell'intreccio di linguaggi, di modi di vivere, di religioni, di usi e costumi che fanno delle nostre città e anche dei nostri piccoli centri del luoghi plurali, delle convivialità delle differenze che si rivelano opportunità di crescita umana e culturale. Non solo il nostro mondo, i nostri piccoli paesi sono un "villaggio globale". Vivere questa sfida con intelligenza e creatività significa non perdere l'appuntamento con la storia.
In questo nostro piccolo paese, lungo questi tre anni, abbiamo avuto l'opportunità di avere il mondo in casa per poterci ancor più sentirci di casa nel mondo. L'ospitalità l'accoglienza, l'interazione e l'integrazione con persone proveniente da Paesi diversi e da situazioni esistenziali di una precarietà e pericolosità inimmaginabile ha offerto a tutti la possibilità di restare umani, di non abbrutirci nell'indifferenza e nel cinismo, ma di crescere nella solidarietà.
Auguriamo ai nostri ospiti che lasciano il nostro paese di portarsi schegge di bene raccolte nella nostra terra e a tutti noi di custodire nel cuore squarci di umanità che mai avremmo avuto modo di scorgere senza la loro presenza. A tutti gli operatori auguriamo di continuare a contagiare di un'epidemia di solidarietà i luoghi che continueranno a frequentare e a testimoniare che il servizio disinteressato, libero da ogni pregiudizio, è un patrimonio spirituale per se stessi ben più grande di quanto si riesce a dare e afre per gli altri.
A tutti i cristiani auguriamo di tenere sempre vivo il monito del Maestro di Nazareth: "Ero forestiero e mi avete ospitato". È la memoria sovversiva del Vangelo l'unico fermento che può cambiare il mondo e non le strategie politiche degli imprenditori della paura e dell'odio».